domenica 14 settembre 2014

Pensieri e parole: La vita

La vita è troppo breve per spenderla a stare male.

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

venerdì 12 settembre 2014

Pensieri e parole

- Ferma così, sei bellissima, voglio catturarti in una fotografia.
- Come puoi? Non hai con te la macchina fotografica...
- Il cuore scatterà per me una fotografia che nei momenti bui guarderò usando la fantasia... e già so che mi sentirò meno solo.

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

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martedì 9 settembre 2014

Pensieri e parole: Ispirazione

Cerchiamo tutti ispirazione, serve a rendere la vita più creativa e divertente.

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

venerdì 9 maggio 2014

Pensieri e parole: L'amore è una corda in tiro

L'amore è come ferrare saldamente una corda in tiro che, se non riesci a tenerla forte a te, rischia di lacerarti le mani fino a farle sanguinare... soltanto che questa corda la teniamo con il cuore.

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

giovedì 8 maggio 2014

Pensieri e parole: Nessuno sa, nessuno può sapere

Nessuno sa veramente cosa portiamo dentro, lo sappiamo soltanto noi. Possono immaginare, ipotizzare, ma saranno veramente lontani dal capire e semmai dovessero riuscire a comprendere, comunque, non sapranno mai alleviare quel peso che ci stiamo portando dentro.

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

Pensieri e parole: La bolla di sapone e il gatto


La bolla di sapone e il gatto
Pensieri e parole: La bolla di sapone e il gatto
Da un sospiro nacque una bolla di sapone e subito volò nell'aria. Il vento la dondolò su di un fiore, il quale, meravigliato nel vedere il suo splendore le domandò:
- Come sei bella! Chi sei?
- Sono una bolla di sapone e quel che vedi è il tuo riflesso...
Il fiore arrossì e con un petalo l'accarezzò: bastò quel gesto e la bolla di sapone riprese a volare fino ad arrivare vicino al battito d'ali di una farfalla.
Questa, nel vederla così bella, continuò a farla danzare come fosse una delicata ballerina e, quando la bolla le disse:
- Mi dispiace, devo andare.
La farfalla le domandò:
- Così presto? Mi dispiace, sei così incantevole e delicata... dimmi chi sei, prima che riparti per la tua strada...
- Sono una bolla di sapone e quel che vedi è il tuo riflesso...
Nel sentire questo, la farfalla, s'inchinò, sbatté più forte le ali dall'emozione e la fece di nuovo volare in alto nel cielo, cosicché anche il sole la poté notare.
Si fece spazio tra le bianche nuvole e le sussurrò:
- Che meraviglia! Che splendore! Chi sei tu che splendi più del Sole?
- Sono una bolla di sapone e quel che vedi è il tuo riflesso...
Preso dalla commozione, con un delicato raggio la baciò. Arrossì fino a tramontare e la bolla di sapone, prima di congedarsi, si colorò di infinite sfumature dall'arancio al rosso, e poi salutò.
Continuò a viaggiare, spensierata, accompagnata dal vento, fin quando il respiro di un gatto la fermò:
- Che faccia brutta! - esclamò - chi sei? - domandò.
- Sono una bolla di sapone e quel che vedi è il tuo riflesso...
Il gatto tirò fuori un'unghia e, nel sentirsi offeso, per dispetto la pizzicò. La bolla non fece in tempo neanche a sospirare che scoppiò.

Gianluca Frangella

Pensieri e parole: La rosa e lo spino

Una rosa insecchita se ne stava a guardare il cielo dalle nuvole macchiato, quando uno spino indispettito con arroganza e presunzione le dice col suo vocione:
- Che fai lassù tutta sola, così secca che al passar del vento ogni petalo ti vola. Guarda me che al vento non mi nego, ma non sono come te: io non mi piego.
La rosa sorrise, mentre il suo sguardo passava oltre e, con fare educato, graziosamente gli rispose:
- Sei forte e robusto, ma io resto una rosa... tu un semplice arbusto.
Detto questo, s'avvicinò un uomo con la sua sposa: tagliò lo spino e curò la rosa.

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

martedì 29 aprile 2014

Pensieri e parole: Maschere!

Pensieri e parole di Gianluca Frangella: Maschere
La vera arte, cari miei, è saper conquistare le persone senza indossare maschere.

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

Pensieri e parole: L'uccellino che sognava di volare

Un uccellino sogna di volare. Sbatte le ali, ma ha paura di sollevarsi in aria. Un giorno, un uccello gli dice:
– Perché non voli? Hai le ali per farlo!
Questi risponde:
– Ho le ali, è vero, ma ho anche molta paura.

"Avere gli strumenti giusti per realizzare un sogno alla nostra portata non basta se non si ha anche il coraggio di realizzarlo."

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

Felicità

Non sempre la felicità si manifesta attraverso il ridere o il sorridere. Delle volte la felicità di un individuo si cela nella sua tranquillità.

Gianluca Frangella

lunedì 28 aprile 2014

Riflessioni

Rifletteteci bene. Anche una banalissima caffettiera è stata il sogno di qualcuno che non pensava di poter diventare colui che avrebbe risvegliato l'intero mondo.

Gianluca Frangella

Pensieri e parole: La femminilità è un abito

La femminilità è un abito che bisogna sapere indossare.

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

domenica 27 aprile 2014

La notte aveva paura del buio

La notte aveva paura del buio, così il sole le illuminò la luna e tutte le stelle per farle compagnia.

Gianluca Frangella

Angolo di mondo

C'è un angolo di mondo nel quale la gente non alza mai la voce. Dove nessuno ti manca mai di rispetto. Dove sei totalmente padrone della tua vita.
Quell'angolo di mondo è il tuo mondo ideale e si trova proprio dentro di te. Sono i tuoi pensieri, sono i tuoi sogni, e a nessuno, dico nessuno, dovrai permettere di entrare per fare confusione.

Gianluca Frangella

Odio... Oh! Dio!

Odio, "Oh Dio", che sentimento forte c'hai lasciato: nel nutrirlo ti fa sentire vuoto e nel covarlo ti fa morire l'animo.

Gianluca Frangella

Delusioni

Le delusioni sono il naufragio di cuori pieni d'amore.

Gianluca Frangella

sabato 26 aprile 2014

La cultura è...

La cultura è una passerella tra l'anima in piena e quella deserta.

Gianluca Frangella

Idee.

Lotta sempre per difendere le tue idee, ma non lottare mai per imporle.

Gianluca Frangella

martedì 22 aprile 2014

Felicità!

Avete presente quelle cose che, dopo fatte, ti fanno stare bene? Ecco: quella è la felicità!

Gianluca Frangella

sabato 19 aprile 2014

Felice Pasqua

Auguro una buona e felice Pasqua a tutti, sperando che il tempo ci assisti :)

Gianluca Frangella

venerdì 18 aprile 2014

Luoghi comuni.

Diffida di chi sostiene che l'amico comprende sempre e che Dio perdona sempre: sono persone tendenziose all'errore e fanno di un credo l'alibi perfetto per non curarsi degli sbagli che commettono.

Gianluca Frangella

giovedì 17 aprile 2014

Pensieri e parole: L'amore è una foglia.

Quando di una pianta saprai dare attenzione alla singola foglia, allora avrai imparato cosa vuol dire veramente amare una persona.

When of a tree you'll be able to give attention to a single leaf, then you will have learned what means to truly love someone.

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

L'amore è come il sole...

L'amore è come il sole. Non muore, tramonta.

Gianluca Frangella

mercoledì 16 aprile 2014

Pensieri e parole: Hope always follows you.

Come un'ombra adagiata sul terreno, nella sua tranquillità, la speranza sempre ti segue.

Like a shadow lying on the ground, with its quiet, hope always follows you.

Gianluca Frangella

lunedì 14 aprile 2014

Il silenzio

Il silenzio si posa,
come un uccellino,
nel suo nido,
lontano dal caos di città.
Coricato
tra i boschi e le campagne,
per godersi la notte di stelle,
lasciandosi accompagnare
dall'orchestra di cicale, grilli e civette,
il silenzio si posa
e, nella notte,
amori segreti, abbraccerà.

Gianluca Frangella

Coerenza.

Se le belle parole diventassero fatti il mondo diverrebbe migliore.

Gianluca Frangella

Coltello dalla parte del manico.

È facile prostrare qualcuno quando si ha il coltello dalla parte del manico; è inevitabile, invece, prostrarsi davanti a chi, quella lama, l'ha afferrata con tutte le sue energie e, nonostante il sangue dalla mano, continua ad esercitare una forte leva.

Gianluca Frangella

domenica 13 aprile 2014

Il bacio.

Ce ne servirebbero a iosa, perché il bacio contiene... un'emozione meravigliosa.

Gianluca Frangella

Ideali e valori

Con ideali e valori, un tempo, si nutrivano le famiglie e bastava veramente poco per essere felici.

Gianluca Frangella

sabato 12 aprile 2014

Il buio si ciba d'ombre.

E' sempre bene far luce nel proprio cammino, perché il buio consuma le ombre come il pessimismo le speranze.

Gianluca Frangella

venerdì 11 aprile 2014

Griffe

Soltanto quando cammini a piedi nudi sull'asfalto, sai dare valore ad un paio di scarpe senza curarti della sua griffe.

Gianluca Frangella

La mia lanterna si chiama fantasia

Se di notte hai paura del buio, lascia accesa una lanterna a farti compagnia. La mia lanterna si chiama fantasia.

Gianluca Frangella

Fino in vetta.

Giorno dopo giorno scalerò fino in vetta il mio destino.

Gianluca Frangella

martedì 8 aprile 2014

lunedì 7 aprile 2014

(A)Mare - racconto breve

"Sento il respiro dell’oceano poco distante da qui. Il tempo sembra scorrere come una goccia di rugiada sulla foglia di un petalo di rosa. Sento il sapore dell’oceano non molto distante da qui. Eppure siamo a miglia di distanza dall'oceano. Eppure siamo così lontani che l’oceano, no, l’oceano non lo si può sentire. Comunque lo sento in cima ad uno scoglio. Mi fermo e chiudo gli occhi. Lo scoglio è una roccia affilata, scheggiata dal tempo, ma se chiudo gli occhi io sono sopra uno scoglio e sento il profumo dell’oceano."

Tutto era iniziato da lì. Phil era spesso strano. Si soffermava a guardare un punto lontano, perso nel vuoto, e da lì a pochi istanti dopo era in preda ai suoi sogni. Risucchiato dal vortice del suo amore per la vita.
Risucchiato dalla curiosità di conoscere, scoprire. Ammaliato da stravaganti idee.
Quel giorno sentiva il sapore del mare. Ne sentiva l'essenza, confusa nell'aria. Poteva vedere i riflessi del sole dondolare sulle onde spumeggianti che si alzavano alte per schiacciarsi contro il manto azzurro dell'oceano.
­– Voglio fare surf! Chi di voi ha voglia di fare surf? – domandò.
– Ma Phil, siamo a 1000 miglia dal mare... dove credi di poter fare del surf qui?
Oh si, sicuro. Eravamo a 1000 miglia dal mare, ma Phil intendeva fare surf.
Dove eravamo cresciuti noi, c'era poco da ammirare. Un paese nascosto tra le ruvide rocce di montagne altissime. Da lì si potevano ammirare le stelle, la via lattea nelle limpide notti, ma a Phil non bastava. Lui voleva impadronirsi della conoscenza del mondo intero.
Così, si inventò d'estate lo sci sull'erba. In inverno si sdraiò a prendere il sole in costume, sulla neve. E ancora, in quel meraviglioso pomeriggio di mezza primavera, desiderava fare surf.
Nel magazzino del vecchio signor Richard, Phil si intrufolò alla ricerca di qualcosa adatta a lui. Trovò una tavola lunga un paio di metri. Il vecchio era il falegname del paese, era certo che lì avrebbe trovato la giusta tavola da surf. Era abbastanza larga, quasi quanto uno snowboard. Al che, gli venne in mente di posare tutto e correre a recuperare il suo vecchio snowboard. Si, quello era di sicuro adatto al suo scopo.
Il pascolo camminava sulla pancia della montagna, lentamente, ruminando la verde erba. Tra le rocce spuntavano le bianche e folti lane delle pecore, come prataioli enormi in mezzo a un prato. E, ancora, c'erano le mucche e i tori. Lontano si vedevano le mandrie di cavalli correre al galoppo verso la vallata sottostante.
Lì, nel gioco di ombre del sole in tramonto, appariva dritto in piedi Phil. Il dorso nudo, dalla pallida pelle imbrunita solamente nelle braccia, e la sua tavola appoggiata sul terreno.
Immobile fissava l'erba inchinarsi al soffiar del vento. Immobile, fin quando una voce gli chiese:
– Ehi, Phil, cosa aspetti?
– L'onda giusta, ragazzo mio, l'onda giusta.
C'è chi sosteneva Phil fosse pazzo. Alcuni ragazzini del paese lo tenevano alla larga "mia madre dice che Phil è un poco di buono, è matto!" bisbigliavano timorosi di essere ascoltati.
Chi poteva dirlo? Personalmente mi piaceva. Per me era solo un grandioso sognatore e i suoi sogni mi accompagnavano nel suo mondo. Era fantastico oltrepassare i confini della realtà.
Phil era dritto in piedi. Dal basso, dove ero io a guardare lo spettacolo, l'ennesimo show, non si riusciva a vederlo nel viso. Si distingueva una sagoma di un individuo eretto, come una statua, che teneva una tavola sotto braccio.
La tavola cadde in terra. Ci poggiò sopra un piede: si guardò intorno. Ci fu silenzio. Di colpo, nel frastuono di luci che confondevano le immagini, l’ombra di Phil prese a scendere giù dalla vallata. Sulla verde erba la tavola iniziò a prendere velocità, pochi istanti dopo, il giovane sognatore, si ritrovava veloce sul verde prato, ondeggiando a destra, ora, e ora piegando a sinistra per curvare, schivando una roccia.
I bambini urlavano, alcuni fischiavano: “vai Phil… vai così, vai Phil!”
Phil proseguiva veloce e libero sulla sua tavola da surf. Il vento gli faceva ondeggiare i biondi capelli, anch’essi come onde di oro fuso. I suoi occhi azzurri si potevano vedere, con il loro azzurro intenso, spiccare sul viso abbronzato. Qualcosa, però, in quel momento, andò per il verso sbagliato. La tavola urtò contro un ostacolo, si impennò Phil e ruzzolò nell’erba rotolando su se stesso.
Corremmo tutti verso di lui. Giunti lì, ci guardò pieno di graffi e con un braccio sanguinante dicendo:
– Fantastica surfata.
Nei giorni seguenti se ne stette per conto suo, lontano da tutti. Seduto sulla solita roccia ai piedi di un precipizio, guardava in lontananza. Aveva iniziato anche ad apprezzare di più le ragazze. Si cresceva, si iniziava ad approcciare con l’altro sesso.
Un giorno mi rivelò di essersi innamorato dei capelli di Aurora. Era affascinato dalle onde create dai suoi boccoli bruni. Iniziò a corteggiarla con modi stravaganti, goffi. Le regalava fiori di cardo, o arbusti di agrifoglio, o fragole di bosco. Aurora fingeva di apprezzare, o così sembrava lì per lì, ma poi si nascondeva con le amiche e lo prendeva in giro. Buttò sotto una roccia i fiori di cardo, gettò nel secchio l’agrifoglio. Mangiò le fragole di bosco.
Trascorrevano così i giorni pregni di amore di Phil. Tra una surfata, gli squarci di tramonto rimirati da un enorme sasso e i sentimenti provati per Aurora.
Accadde che un giorno, Phil, se ne stette per più di nove ore seduto immobile a guardare lontano. Nove ore; un’infinità. Non mangiò e non bevve nulla. Nove ore pietrificato, fin quando Aurora con le sue amiche non passarono di lì. Noi eravamo tutti quanti imbambolati a guardare Phil e a chiederci cosa stesse pensando. Non lo smosse nulla. Ci provai a chiamarlo, nulla da fare. Qualcuno tentò anche di tirargli un sassolino che lo sfiorò, ma non lo disturbò comunque. Ma quando riconobbe la voce di Aurora da lontano, si voltò di scatto, si alzò e le andò incontro. Giunto a lei l’afferrò per le braccia. La guardò pochissimi istanti e tentò di baciarla. Lei si ritrasse, ovviamente. Voltò di lato la testa e gli gridò:
– Ma cosa diavolo stai facendo? – poi, con forza, riuscì a liberarsi e gli diede una sberla.
Si toccò la guancia arrossata; poi sussurrò:
– Voglio un bacio.
– Ah! E’ così. Tu vuoi un bacio da me. E ti sembra questo il modo? Sei un orco, lasciatelo dire.
– Volevo solamente un bacio – ribatté tra le risa delle altre ragazze.
– Se vuoi un bacio da me, devi guadagnartelo.
– E come? Farò di tutto.
Si voltò intorno alla ricerca di una sfida da porre a Phil, quando alla fine indicò un punto con il dito e sentenziò:
– Ti darò un bacio se riuscirai con il tuo surf a saltare da lì.
– Ma è impossibile, si romperà l’osso del collo – feci io.
Aurora intendeva far saltare Phil da una sponda all’altra distanti quasi tre metri. Phil non guardò verso il dirupo. Si limitò a calcolare da quale altezza si sarebbe dovuto lanciare con la sua tavola per riuscire a fare il salto.
Ci pensò e disse:
– Lo farò, ma dopo tu mi darai un bacio.
– Affare fatto.
Phil e la sua tavola iniziarono a salire e a salire. Ormai si vedeva a mala pena, da dove eravamo noi.
– Sono pronto! – gridò.
Buttò a terra la tavola, la fermò con un piede. Attese un brevissimo lasso di tempo e, poi, con tutta la forza che aveva, di colpo, si diede una spinta e iniziò a scendere veloce lungo la schiena erbosa della montagna. Raggiunse una velocità che fino a quella volta non aveva mai neanche sfiorato. Scendeva come un missile e altrettanto veloce si avvicinava a lui il grande salto.
Era quasi giunto, mancava poco. Aurora sospirò quasi impercettibilmente e accompagnò il sospiro con un sussurro:
– Speriamo che non faccia sul serio.
Una sua amica la guardò e le chiese:
– Gli darai davvero il bacio?
– Ma sei matta? Certo che no! – risero, ma si leggeva chiaro negli occhi di Aurora, la preoccupazione per Phil.
Pochi metri ancora. Forse sei e ora, forse, cinque. Forse quattro, ora ne erano tre, forse. E ancora due. Uno. Phil era vicino il dirupo. Chiudemmo gli occhi. Non so se lo fecero tutti, io li chiusi: ebbi paura di guardare.
Si sentì un urlo. Riaprii gli occhi e Phil era scomparso, nel nulla. Svanito.
Iniziai a correre. Ricordo di non avere mai corso così tanto. Giunto all’orlo del precipizio mi gettai con il petto a guardare nel vuoto. Saranno stati almeno venti metri di burrone. Phil non si vedeva.
– Phiil – gridai. Fui subito accompagnato dagli altri – Phiiiil … Phiiiiiiil – ma di lui nessuna traccia.
– Stupido. Non dovevi farlo. Non dovevi. Non dovevi. Perché lo hai fatto? – si mise a piangere Aurora.
– Ti amava molto – restò stupita di queste parole e nell’udirle si rimise a piangere e a cercarlo con gli occhi.
– Ehi… guardate lì! si udì – guardate, è Phil!
Ragazzi, so che non ci crederete mai. Neanche io riuscii a crederci all’inizio: dovetti sfregarmi gli occhi più volte, prima di realizzare. Phil stava surfan­do lungo la montagna e non si fermava. Surfava Phil e c’è chi dice che sia giunto sino all’oceano.

Gianluca Frangella

martedì 25 marzo 2014

La violenza è futile, la guerra inutile

Giorni fa stavo giocando ad un videogame con mio fratello, quando per futili ragioni è nato uno screzio. Roba da niente, ma poi, si sa, una parola tira l'altra e siamo finiti a spintonarci e un poco ad insultarci.
La faccenda non era seria, sia chiaro, ma, tra una spinta e l'altra, ognuno con le sue ragioni, lui minacciò di darmele se non avessi smesso. Capirete! Non mi sono lasciato intimorire. Mi sono impettito e siamo scesi per la strada, ma prima ancora di iniziare con le mani, lui mi fa:
- Sta' bono 'n attimo... ma quelli là nun so i fratelli "Tizio" e "Caio"?
- Si, so' propio loro, quelli che se vantano de comanda' in borgata!
- Annamo, che je damo 'na bella lezione.
E siamo partiti in due per appiccicarci con loro. Sono volate parolacce, bestemmie, spintonate, calci, pugni e anche una testata. Proprio sul più bello, quando o noi o loro ci saremmo dovuti arrendere, da lontano alcune voci hanno urlato:
- Aaaah coatti? Sete propio ridicoli. Menate come le femminucce!
Erano certi di un'altra borgata venuti lì in zona per infastidire qualcuno del quartiere.
- E no, finché se schiaffeggiamo tra de noi va pure bene, ma si me devo fa prenne in giro da quelli che nun so de zona, nun ce sto...
- Annamo... je famo vede' come se sona!
- Annamo... damojele de santa raggione.
Così, ci ritroviamo a fare a pugni con quelli di un altro quartiere. Nessuno voleva cedere: noi dovevamo difendere l'onore e loro volevano farci prepotenza. Non so come sarebbe finita, se non fosse stato che un gruppetto là vicino, canzonandoci si fece scappare:
- Siete proprio della Roma!
- Ma nun me dì che so laziali questi?
Proprio così, i rivali del nostro derby. Capirai, noi eravamo tutti della Roma e non ci andò proprio giù. Smettemmo di discutere con quegli altri e tutti insieme iniziammo a parlare di calcio, di Roma e Lazio e del derby.
Ci sfottemmo. Passammo dallo scherzo subito alle mani. Sotto con calci e pugni, prendi quello, non far scappare l'altro, e per un po' a fare a botte per difendere ognuno l'onore della propria squadra.
- Corri, acchiappelo - c'era chi urlava, e la rissa si spostava lentamente fino ad arrivare nei paraggi di certa gente con la puzza sotto il naso che con l'accento assai ambiguo, tra il romano e il sabino, se la ridevano commentando allegramente.
Smettemmo di picchiarci, ovvio, quando a prenderti in giro non sono quelli della capitale, e ci mettemmo poco ad unirci per cacciare quei burini venuti da chissà dove.
Quante botte, quante legnate, mai viste così tante! Eravamo in tanti, ma stavolta dovevamo difendere la capitale, ma poco dopo finimmo col dover difendere la regione.
Si, perché in vista di un non so quale evento straordinario, certi del nord erano scesi per partecipare, e dalle loro bocche uscì fuori:
- Terroni!
- Aho ! Ce so' i polentoni... menamoje!
La cosa s'allargò, una para e piglia assurdo, e ci spostammo tutti verso il centro, dove, per disdetta, un gruppo di francesi interessati alla lotta, iniziarono a burlarsi di noi spassionatamente.
- Francesi? Ridateci la Gioconda! - gridò uno del nord, e tutti seguitammo a difendere la patria: non più Roma capitale, qui si parlava della nazionale.
Francia e Italia iniziarono a scazzottare. Mena quello, afferra l'altro, arrivammo alle mani contro gli americani, sì esatto, noi europei tutti uniti insieme per la lotta e giù a dar pugni e botte per il crollo della borsa, per la guerra del petrolio.
Ormai esausto, mi avvicinai a mio fratello che mi disse, parole sante, ve l'assicuro:
- C'avevi raggione tu prima, se nun t'avessi dato torto, forse, nun avremmo creato tutto sto casino.
- Ma che! C'avevi raggione te, tutta corpa mia, guarda che guerrija mamma mia.
- Te dico che c'avevi raggione te.
- No te.
E tutto ricominciò da capo.

Gianluca Frangella

domenica 23 marzo 2014

(In)canto.

Le stelle nel cielo sembravano disegnare la parola notte, ma alcune di queste caddero nell'infinito, lasciando la scia, e una "t" andò a dormire mostrando agli occhi del musicista la parola note.
Fu allora che, stupito dall'inaspettata sorpresa, immaginò le linee di un pentagramma e ogni stella la fissò su di esso affinché disegnasse una nota.
Le eseguì una dopo l'altra e qualcosa di sublime accadde: non aveva suonato una semplice musica, no, affatto... capì che quella era la musica della vita, della natura, dello spazio, quella era veramente la musica che s'avvicinava a Dio.

Gianluca Frangella

martedì 18 marzo 2014

Dal romanzo Rosso porpora

– Dove trovi l’energia?
– Dall’amore per mia figlia. Le promisi, quando rimasi incinta di lei, che non l’avrei mai abbandonata, perché io stessa lo ero stata e so quanto è dura dovercela fare da soli a crescere: voglio riuscire a darle tutto il meglio di me stessa.

Dal romanzo Rosso porpora

La vita non è un bluff.

E' proprio quando non hai più idee e hai terminato le carte da giocare, che la partita si fa più interessante... e con la vita non basta un banale bluff per poterla ingannare.

Gianluca Frangella

L'anima è un pozzo artesiano.

L'anima di un individuo è come un pozzo artesiano: quanto più è profonda tanto più vedrai zampillare l'amore dal suo cuore.

Gianluca Frangella

venerdì 14 marzo 2014

Un giorno, vincerai tu.

Quante volte hai bussato
alla porta di qualcuno
che ti ha detto
"mi dispiace non ci sono per nessuno"?

Quante volte hai urlato
il silenzio con lo sguardo
sperando d’essere ascoltato
in mezzo al freddo asfalto della città?

Quante volte hai sognato
di fuggire via dall'odio della gente
saltare su quel treno
e non tornare più?

Quante volte hai disegnato
la felicità attraverso un sogno
che si è infranto in un momento
quando qualcuno non ti ha amato più?

Quante volte hai sentito
il mare respirare
con la voglia di salpare
per non pensarci più?

E tutte quelle volte sei stato solo,
perché dentro l'animo mai nessuno
è stato in grado di curarti
meglio di come sai fare tu.

E tutte quelle volte hai urlato
che eri disperato al vento
che non ce la facevi più,
ma da solo hai continuato e sei di nuovo qui
a ripensare a tutte quelle volte che hai lottato
contro il male della gente
contro tutte le paure
fino a quando, un giorno, vincerai tu.


Gianluca Frangella

mercoledì 12 marzo 2014

L'abito fa il monaco.

Altroché, l'abito fa il monaco, vi assicuro, ma bisogna essere molto perspicaci per riuscire a scovare la verità. Uno perché la verità sa camuffarsi come un cecchino, due perché bisogna essere pronti ad accettarla.
"Dio mandò sulla terra il Messia, suo figlio Gesù, ma non tutti gli credettero, quando egli disse che portava la parola del Signore. A distanza di 2000 anni, se Dio decidesse di rimandarci il Messia, gli crederemmo? Chi lo sa!"
La verità non basta bramarla. Non c'è verità in grado di essere accettata da chi non è abbastanza forte e pronto per essa. E la verità, in questo caso, non è l'avvento del Signore, ci mancherebbe, quella è la più sublime della conoscenza, del sapere.
No, noi non siamo in tema mistico, ma andiamo più sul reale, sul concreto e, poiché desidero ardentemente affermarmi come scrittore, parlerò delle mie verità.
La prima verità che mi viene in mente è questa: la simpatia. La stessa frase, lo stesso pensiero, lo stesso identico libro, può piacere o meno in base al nome e cognome di chi lo ha scritto o detto.
Ricordate? L'abito fa il monaco.
Esempio. Se vi raccontassi una barzelletta, potrei non riuscire a farvi ridere, ma forse la stessa barzelletta raccontata da un personaggio comico famoso, riuscirebbe a farvi rischiare il collasso per le risate.
Così, navigando in rete, mi sono imbattuto in un articolo dal titolo bizzarro "Bukowski in cerca di editore", dove un tale (non so se è il caso di fare i nomi) ha deciso di inviare il "suo" manoscritto a vari Editori: "Storie di ordinaria follia". Esatto, avete letto bene. Gli cambia il titolo, gli cambia il nome dell'autore (mette il suo), elimina ogni riferimento al vero scrittore e invia.
Risposte? Esatto: l'abito fa il monaco.
Tutte negative, eccetto due da parte di editori a pagamento. Anche io, sinceramente, feci questo esperimento. Non con un libro, ma con una citazione. Presi una frase di un autore molto conosciuto, la pubblicai a mio nome, e non ebbe alcun effetto, anzi, fu criticata, a dire il vero.
E questa è la prima verità.
La seconda verità, invece, è che conta molto anche chi ti vende un libro o un autore. Se prima di raccontarvi la barzelletta venisse Checco Zalone e vi dicesse che sono bravissimo a raccontare storielle da ridere, probabilmente ridereste anche con me. La referenza, esatto! Volete mettere che un libro sia edito da un'importante casa editrice? Fa la differenza, credetemi!
Detto questo vi saluto augurandovi una buona giornata, e ribadendo, l'abito fa il monaco, ma tutti voi, amici miei, potete fare la differenza.

Gianluca Frangella

lunedì 3 marzo 2014

A luce spenta - Il giorno della memoria

Era un giorno come tanti altri o, forse, semplicemente, come tante altre volte mi limitavo ad aprire gli occhi. Lunedì, martedì, non so. A volte mi domandavo in che anno fossimo e in che parte del mondo mi fossi ritrovato. Per non impazzire, quando aprivo gli occhi la mattina e quando li chiudevo la sera, mi ripetevo tutti i nomi delle persone più care che non vedevo più, ormai da molto tempo. Li ripetevo, scandendo le sillabe, nella mente, e rievocavo i loro volti e le loro voci. La vita non esisteva. Non sapevamo nulla, non conoscevamo la ragione per cui eravamo lì e perché fossimo costretti a restarci. L'unica realtà di cui eravamo consapevoli era che qualcuno di noi non rientrava alla sera, scomparso per sempre. Qualcuno al di sopra di noi aveva deciso per l'essere umano, aveva deciso che loro erano la razza pura, noi la razza da odiare. Odio...Oh Dio! Che parola forte. Se la pronunciavi lentamente ti chiedevi: Dov'è Dio? Era questo il nostro Dio? Dovevamo, forse, accettare l'idea dell'amore per la vita, dell'amore per il prossimo, soltanto perché qualcuno sosteneva che era stato Dio l'artefice di tutto il creato? Vi parrà strano, ma la parola odio la sentivo come una parola troppo forte e non l'accettavo. Per il resto, tutto era come sempre, immobile. Gli uomini lavoravano sodo, alcuni, quelli che non ce la facevano più, scomparivano. Giravano voci terribili: morti bruciati, carbonizzati, morti con il gas, morti soffocati. D'altronde, quando un uomo ti odia a tal punto da ridurti ad un livello inferiore alla schiavitù, come potrebbe avere compassione quando non servi più? E quelle torri altissime, che sputavano fumo nero a tutte le ore della giornata, ci davano quasi la testimonianza che, chi avesse voluto scoprire la verità, sarebbe dovuto passare di lì. C'erano anche dei bambini, non molti, ma anche loro considerati meno che polvere. Era freddo. Il terreno gelava così tanto la notte che, al mattino, pareva essere stato spolverato di zucchero a velo e loro, magri e tristi, sognavano per un attimo di poterlo mangiare. Non c'erano donne da noi. Qualcuno sosteneva di averle viste con le teste rasate, senza più capelli, immagini della disperazione, tutte in fila indiana ad attendere non si sa cosa. Non si può descrivere quanto il tempo scorresse lento in quel luogo. Ore interminabili. Da quanto eravamo prigionieri? Sembrava che fossimo lì da sempre; parte del paesaggio di quella riserva per individui nati “imperfetti”, come se la perfezione avesse una razza o una specie. Io ero stato uno dei primi a ritrovarmi lì. Nella mia città, da quando erano arrivati i tedeschi, non si lavorava più. All'inizio si parlava di un ottimo posto di lavoro, per cui decisi di seguirli. Avevo allora poco più di sedici anni, ma mi domandavo: quanti anni avrò adesso? Ogni tanto, nel dubbio, festeggiavo in segreto il mio compleanno. Preparavo una piccola torta con il fango e fingevo di soffiare sulle candeline. Avrei dovuto avere all'incirca diciannove anni. Ad ogni festa esprimevo il mio desiderio, sempre lo stesso, sognavo di poter aprire gli occhi e ritrovarmi altrove, lontano da tutto quell’orrore. Nel silenzio della notte, al buio, si udivano spesso lamenti, alcune volte urla e, in lontananza, colpi di arma da fuoco che echeggiavano nell’aria. Nessuno di noi apriva bocca, nessuno parlava. Il terrore era la nostra compagnia. Sapevo che non ero solo, sapevo che c’erano altri come me, ma non potevo vederli fino alle prime ore del mattino, quando la luce del nuovo giorno, insieme ai gelidi spifferi, entrava attraverso le fessure delle porte. Entrava accompagnata da voci rabbiose che ci ordinavano la sveglia. Entrava, la luce, e ci ricordava che non era stato un incubo, perché noi eravamo ancora lì. La paura ci impediva di lamentarci. Aprivamo gli occhi, è vero, ma ero certo che, come me, tutti avessero dormito pochissime ore. Il tempo passava ed io portavo con me quel desiderio espresso soffiando sulle candeline finte. Diciannove anni, mi ripetevo, aspettando un nuovo compleanno da festeggiare in segreto. Il tempo continuò a scorrere lentamente, finché arrivò quel giorno; un giorno come tanti altri, così sembrava, uno di quei tanti giorni in cui mi ero limitato ad aprire gli occhi. Ma quello era un giorno diverso, ancora non lo sapevamo. La cosa speciale era che, la notte prima, avevo festeggiato il mio ventesimo compleanno e, quella volta, il mio desiderio si era realizzato! Uscimmo dalle nostre baracche e ci accorgemmo che quelle voci urlanti erano voci amiche, venute a svegliare dall'incubo quei pochi di noi che erano sopravvissuti. Cosa fosse riuscito a tenermi in vita, non lo so. Non so di preciso che cosa mi avesse dato l’energia per resistere fino a quel momento. Posso dirvi che la notte, nel buio della baracca, guidato dai miei pensieri di bambino e dalla fantasia, rivivevo una vita normale, e ogni giorno, fino a quel momento, io avevo vissuto due vite: una orribile, che tutti conoscevano, e una serena, che nessuno poteva toccarmi perché era nella mia fantasia… una vita a luce spenta.

Gianluca Frangella

martedì 28 gennaio 2014

Pensieri e parole: Destini

Ci sono giorni in cui non vedo nulla
e già nel vedere il niente

vedo te che sei l’infinito.
Ogni uomo ha un destino.
I destini s’incrociano.
Tu bambina invadi i miei spazi con tristi sguardi,
colmi i miei vuoti e col buio oscuri la luce che lieve
illumina la mia mente.
Ogni uomo ha un destino.
S’incrocia il tuo col mio.
Mi vuoi? Mi vuoi?
"Ti vorrei ma non so che voglio".
E l’automobile corre veloce lungo la strada;
investe una lepre e corre… corre.
Tu mi abbagli e m’investi e corri.
Ogni uomo ha un destino
e i destini s’incrociano,
s’investono… si calpestano.
Tu, bambina, ci credi nel destino?
Niente più lepri nel tuo cammino.

Pensieri e parole di Gianluca Frangella

lunedì 27 gennaio 2014

Certe persone ti entrano nell'anima.

Certe persone ti entrano talmente dentro l'anima che, quando smetti di sentirle, ti viene da domandare se le hai sognate o se sono esistite veramente. E, comunque, non cambia il fatto che ti  mancano davvero.

Gianluca Frangella

La casa è la culla dell'anima.

La casa è qualcosa di sacro, la culla dell'anima. Invitare qualcuno nella propria dimora è segno di immensa fiducia e rispetto e quel qualcuno lo deve sapere, che nella tua casa non può fare da padrone. Deve badare bene a ciò che sta toccando, non rovinarlo, non profanarlo. Non è permesso, nella tua casa, saltare sul letto, salire con i piedi sulle sedie o sui tavolini, giocare con le luci spegnendole e riaccendendole o, anche semplicemente, spostare un quadro a proprio piacimento. Lo farai fare a chi veramente amerai, con tutto il tuo cuore, sperando possa questa persona rispettare la tua dimora così con la stessa gelosia con cui tu te ne prendi cura. Non gli dirai mai di lavare i tuoi piatti, di gettare l'immondizia, di spolverare e di spazzare. Se lo farai, sarà perché amerai quella persona che hai deciso di fare entrare nel tuo nido e non sarà una questione di affetto o meno, di sesso o altro, ma di amore, quell'amore che hai per un fratello, per una sorella, per una carissima amicizia, per il tuo partner.
Perché la casa è il luogo più intimo dove piangi, ridi, pensi, dormi, ti arrabbi, rifletti, litighi, discuti. Perché nella casa ricrei te stesso; il tuo mondo lo vivi, lo consumi, lo distruggi e lo ricrei. Non hai mai dato a nessuno il diritto di appropriarsi della tua casa, ma hai spesso dato a chi ami l'onore di esserne gradito ospite.
E la tua anima non è nient'altro che la tua casa; chi ti amerà davvero la rispetterà e tu farai accedere soltanto chi vi vorrà entrare senza mancare di rispetto, senza pretenderne il diritto di possesso.


Gianluca Frangella

domenica 26 gennaio 2014

Il paradosso.

Iniziò a stappare spumanti per ogni delusione, a dare festa per ogni bocciatura, ad urlare al mondo ogni sua sconfitta.
Tra sformò tutte le cose negative in qualcosa per la quale valesse veramente tanto festeggiare e, le cose positive, iniziarono a prendere il sopravvento nella sua vita, una dopo l'altra.
Lui smise di festeggiare, d'essere felice, ma la vita gli andava straordinariamente a gonfie vele.

Gianluca Frangella

Uomo, bambino.

Siamo bambini che non vedono l'ora di diventare adulti e adulti che pagherebbero oro per tornare ad essere bambini.

Gianluca Frangella

venerdì 24 gennaio 2014

Amore (in)dolore.

Il sole tramonta e risuona il mare.
Onde sulla riva come pensieri
echeggiano nella mente leggeri
col frastuono di un amore,
seppure in dolore, la donna ama;
s'adagia a quel palo che la tiene legata,
dal dolore per un uomo stregata,
se passione nel petto non può bramare.

I sogni svaniscono nel fiume di parole.
Risuonano note di piacere intenso,
annegheranno nel mare di un blu denso,
eroderanno lentamente col sapor del sale.
Questo è il vero male, mentre si alza il vento.
Il viso si volge verso l'orizzonte:
si è dissetato un uomo dalla fonte
di una bellezza che morirà col nascere del sole.


Gianluca Frangella

Tra sogno e realtà.

Tra il sogno e la realtà c'è il sottilissimo confine della razionalità.

Gianluca Frangella

giovedì 23 gennaio 2014

Questione di false aspettative.

E' facile deludere le persone quando queste si creano false aspettative sul tuo conto.

Gianluca Frangella

sabato 18 gennaio 2014

Dreaming.

ITALIANO
Credeva di poter toccare il cielo con una mano ed era convinta di poter volare.
C'è chi pensò fosse pazza, ma non si accorsero che lei aveva aperto la mente e imparato l'arte del sognare.

ENGLISH
She believed she could touch the sky with one hand and was convinced she could fly.
Some people thought she was crazy, but they didn't realize that she had opened the mind and learned the art of dreaming.

Gianluca Frangella Scrittore

martedì 7 gennaio 2014

I've never felt my fantasy as real, but...

ITALIANO
Non ho mai ritenuto reale la mia fantasia, ma ritengo molto fantasiosa la mia realtà.

ENGLISH
I've never felt my fantasy as real, but I think my reality is very imaginative.

Gianluca Frangella Scrittore