lunedì 7 aprile 2014

(A)Mare - racconto breve

"Sento il respiro dell’oceano poco distante da qui. Il tempo sembra scorrere come una goccia di rugiada sulla foglia di un petalo di rosa. Sento il sapore dell’oceano non molto distante da qui. Eppure siamo a miglia di distanza dall'oceano. Eppure siamo così lontani che l’oceano, no, l’oceano non lo si può sentire. Comunque lo sento in cima ad uno scoglio. Mi fermo e chiudo gli occhi. Lo scoglio è una roccia affilata, scheggiata dal tempo, ma se chiudo gli occhi io sono sopra uno scoglio e sento il profumo dell’oceano."

Tutto era iniziato da lì. Phil era spesso strano. Si soffermava a guardare un punto lontano, perso nel vuoto, e da lì a pochi istanti dopo era in preda ai suoi sogni. Risucchiato dal vortice del suo amore per la vita.
Risucchiato dalla curiosità di conoscere, scoprire. Ammaliato da stravaganti idee.
Quel giorno sentiva il sapore del mare. Ne sentiva l'essenza, confusa nell'aria. Poteva vedere i riflessi del sole dondolare sulle onde spumeggianti che si alzavano alte per schiacciarsi contro il manto azzurro dell'oceano.
­– Voglio fare surf! Chi di voi ha voglia di fare surf? – domandò.
– Ma Phil, siamo a 1000 miglia dal mare... dove credi di poter fare del surf qui?
Oh si, sicuro. Eravamo a 1000 miglia dal mare, ma Phil intendeva fare surf.
Dove eravamo cresciuti noi, c'era poco da ammirare. Un paese nascosto tra le ruvide rocce di montagne altissime. Da lì si potevano ammirare le stelle, la via lattea nelle limpide notti, ma a Phil non bastava. Lui voleva impadronirsi della conoscenza del mondo intero.
Così, si inventò d'estate lo sci sull'erba. In inverno si sdraiò a prendere il sole in costume, sulla neve. E ancora, in quel meraviglioso pomeriggio di mezza primavera, desiderava fare surf.
Nel magazzino del vecchio signor Richard, Phil si intrufolò alla ricerca di qualcosa adatta a lui. Trovò una tavola lunga un paio di metri. Il vecchio era il falegname del paese, era certo che lì avrebbe trovato la giusta tavola da surf. Era abbastanza larga, quasi quanto uno snowboard. Al che, gli venne in mente di posare tutto e correre a recuperare il suo vecchio snowboard. Si, quello era di sicuro adatto al suo scopo.
Il pascolo camminava sulla pancia della montagna, lentamente, ruminando la verde erba. Tra le rocce spuntavano le bianche e folti lane delle pecore, come prataioli enormi in mezzo a un prato. E, ancora, c'erano le mucche e i tori. Lontano si vedevano le mandrie di cavalli correre al galoppo verso la vallata sottostante.
Lì, nel gioco di ombre del sole in tramonto, appariva dritto in piedi Phil. Il dorso nudo, dalla pallida pelle imbrunita solamente nelle braccia, e la sua tavola appoggiata sul terreno.
Immobile fissava l'erba inchinarsi al soffiar del vento. Immobile, fin quando una voce gli chiese:
– Ehi, Phil, cosa aspetti?
– L'onda giusta, ragazzo mio, l'onda giusta.
C'è chi sosteneva Phil fosse pazzo. Alcuni ragazzini del paese lo tenevano alla larga "mia madre dice che Phil è un poco di buono, è matto!" bisbigliavano timorosi di essere ascoltati.
Chi poteva dirlo? Personalmente mi piaceva. Per me era solo un grandioso sognatore e i suoi sogni mi accompagnavano nel suo mondo. Era fantastico oltrepassare i confini della realtà.
Phil era dritto in piedi. Dal basso, dove ero io a guardare lo spettacolo, l'ennesimo show, non si riusciva a vederlo nel viso. Si distingueva una sagoma di un individuo eretto, come una statua, che teneva una tavola sotto braccio.
La tavola cadde in terra. Ci poggiò sopra un piede: si guardò intorno. Ci fu silenzio. Di colpo, nel frastuono di luci che confondevano le immagini, l’ombra di Phil prese a scendere giù dalla vallata. Sulla verde erba la tavola iniziò a prendere velocità, pochi istanti dopo, il giovane sognatore, si ritrovava veloce sul verde prato, ondeggiando a destra, ora, e ora piegando a sinistra per curvare, schivando una roccia.
I bambini urlavano, alcuni fischiavano: “vai Phil… vai così, vai Phil!”
Phil proseguiva veloce e libero sulla sua tavola da surf. Il vento gli faceva ondeggiare i biondi capelli, anch’essi come onde di oro fuso. I suoi occhi azzurri si potevano vedere, con il loro azzurro intenso, spiccare sul viso abbronzato. Qualcosa, però, in quel momento, andò per il verso sbagliato. La tavola urtò contro un ostacolo, si impennò Phil e ruzzolò nell’erba rotolando su se stesso.
Corremmo tutti verso di lui. Giunti lì, ci guardò pieno di graffi e con un braccio sanguinante dicendo:
– Fantastica surfata.
Nei giorni seguenti se ne stette per conto suo, lontano da tutti. Seduto sulla solita roccia ai piedi di un precipizio, guardava in lontananza. Aveva iniziato anche ad apprezzare di più le ragazze. Si cresceva, si iniziava ad approcciare con l’altro sesso.
Un giorno mi rivelò di essersi innamorato dei capelli di Aurora. Era affascinato dalle onde create dai suoi boccoli bruni. Iniziò a corteggiarla con modi stravaganti, goffi. Le regalava fiori di cardo, o arbusti di agrifoglio, o fragole di bosco. Aurora fingeva di apprezzare, o così sembrava lì per lì, ma poi si nascondeva con le amiche e lo prendeva in giro. Buttò sotto una roccia i fiori di cardo, gettò nel secchio l’agrifoglio. Mangiò le fragole di bosco.
Trascorrevano così i giorni pregni di amore di Phil. Tra una surfata, gli squarci di tramonto rimirati da un enorme sasso e i sentimenti provati per Aurora.
Accadde che un giorno, Phil, se ne stette per più di nove ore seduto immobile a guardare lontano. Nove ore; un’infinità. Non mangiò e non bevve nulla. Nove ore pietrificato, fin quando Aurora con le sue amiche non passarono di lì. Noi eravamo tutti quanti imbambolati a guardare Phil e a chiederci cosa stesse pensando. Non lo smosse nulla. Ci provai a chiamarlo, nulla da fare. Qualcuno tentò anche di tirargli un sassolino che lo sfiorò, ma non lo disturbò comunque. Ma quando riconobbe la voce di Aurora da lontano, si voltò di scatto, si alzò e le andò incontro. Giunto a lei l’afferrò per le braccia. La guardò pochissimi istanti e tentò di baciarla. Lei si ritrasse, ovviamente. Voltò di lato la testa e gli gridò:
– Ma cosa diavolo stai facendo? – poi, con forza, riuscì a liberarsi e gli diede una sberla.
Si toccò la guancia arrossata; poi sussurrò:
– Voglio un bacio.
– Ah! E’ così. Tu vuoi un bacio da me. E ti sembra questo il modo? Sei un orco, lasciatelo dire.
– Volevo solamente un bacio – ribatté tra le risa delle altre ragazze.
– Se vuoi un bacio da me, devi guadagnartelo.
– E come? Farò di tutto.
Si voltò intorno alla ricerca di una sfida da porre a Phil, quando alla fine indicò un punto con il dito e sentenziò:
– Ti darò un bacio se riuscirai con il tuo surf a saltare da lì.
– Ma è impossibile, si romperà l’osso del collo – feci io.
Aurora intendeva far saltare Phil da una sponda all’altra distanti quasi tre metri. Phil non guardò verso il dirupo. Si limitò a calcolare da quale altezza si sarebbe dovuto lanciare con la sua tavola per riuscire a fare il salto.
Ci pensò e disse:
– Lo farò, ma dopo tu mi darai un bacio.
– Affare fatto.
Phil e la sua tavola iniziarono a salire e a salire. Ormai si vedeva a mala pena, da dove eravamo noi.
– Sono pronto! – gridò.
Buttò a terra la tavola, la fermò con un piede. Attese un brevissimo lasso di tempo e, poi, con tutta la forza che aveva, di colpo, si diede una spinta e iniziò a scendere veloce lungo la schiena erbosa della montagna. Raggiunse una velocità che fino a quella volta non aveva mai neanche sfiorato. Scendeva come un missile e altrettanto veloce si avvicinava a lui il grande salto.
Era quasi giunto, mancava poco. Aurora sospirò quasi impercettibilmente e accompagnò il sospiro con un sussurro:
– Speriamo che non faccia sul serio.
Una sua amica la guardò e le chiese:
– Gli darai davvero il bacio?
– Ma sei matta? Certo che no! – risero, ma si leggeva chiaro negli occhi di Aurora, la preoccupazione per Phil.
Pochi metri ancora. Forse sei e ora, forse, cinque. Forse quattro, ora ne erano tre, forse. E ancora due. Uno. Phil era vicino il dirupo. Chiudemmo gli occhi. Non so se lo fecero tutti, io li chiusi: ebbi paura di guardare.
Si sentì un urlo. Riaprii gli occhi e Phil era scomparso, nel nulla. Svanito.
Iniziai a correre. Ricordo di non avere mai corso così tanto. Giunto all’orlo del precipizio mi gettai con il petto a guardare nel vuoto. Saranno stati almeno venti metri di burrone. Phil non si vedeva.
– Phiil – gridai. Fui subito accompagnato dagli altri – Phiiiil … Phiiiiiiil – ma di lui nessuna traccia.
– Stupido. Non dovevi farlo. Non dovevi. Non dovevi. Perché lo hai fatto? – si mise a piangere Aurora.
– Ti amava molto – restò stupita di queste parole e nell’udirle si rimise a piangere e a cercarlo con gli occhi.
– Ehi… guardate lì! si udì – guardate, è Phil!
Ragazzi, so che non ci crederete mai. Neanche io riuscii a crederci all’inizio: dovetti sfregarmi gli occhi più volte, prima di realizzare. Phil stava surfan­do lungo la montagna e non si fermava. Surfava Phil e c’è chi dice che sia giunto sino all’oceano.

Gianluca Frangella

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